Lui & Lei
l'auto rossa.

09.03.2017 |
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"Era solo sfregamento meccanico di mucose..."
Me ne andavo in bici come sovente accadeva nei pomeriggi scolastici in direzione della mia Amica Dxxx, quando il muso un’auto rosso mi affiancò. L’auto aveva adattato la sua velocità alla mia fino a che un po’ allarmata e altrettanto incuriosita riconobbi l’autista. Una sorpresa! Un tuffo al cuore! Lui, il cugino. Lui il campione che mi aveva svezzata sessualmente. Lui, l’uomo che mi aveva deflorato l’imene. Insomma, lui, quello che pochi mesi prima me l’aveva rotta. Fu un fulmine a ciel sereno. Come potrò mai dire quello che provai vedendo di nuovo quel volto, sentendo il timbro della sua voce. E come potrò mai raccontare quello che provai quando i miei occhi puntati sui suoi si illuminarono in un sorriso confermando che egli ancora mi desiderava. Fui presa da una tale emozione che per poco non mi gettai su di lui bici compresa. Ma ahimè, la strada era stretta e la nostra presenza intralciava il traffico, così, egli mi gridò: *ti aspetto più avanti, al parcheggio del cimitero.* Tornata in me mi ritrovai sola a pedalare con vigore. Ormai non potevo più sfuggire alla attenzione penetrante dei sensi guidati dall’amore. Lo amavo? In quel momento avrei risposto di sì. Nello spazio di tempo che mi mancava al parcheggio, mi chiesi se il suo abbordaggio fosse stato un caso o se fatto di proposito. Mi rammentai che era il cugino “caro “della mia amica Doxx e con lei, conoscendola, poteva essere una tresca tra loro due. Ma al momento ero troppo in burrasca per preoccuparmene. Arrivata al parcheggio intravidi subito l’auto rossa tra le altre in sosta. Sistemai la bici e mi infilai tra di esse tentando di eclissarmi. Arrivata all’auto la portiera si aprì e senza esitazione mi sedetti al suo fianco. Lui mi guardava con un misto di sorpresa. Io lo ammiravo con tenerezza e paura. Cercai di riprendermi e dire qualcosa ma la sorpresa era stata così forte e imprevista che riuscii solo a balbettare qualche sillaba. Non sarà un’illusione, sei proprio tu? Mentre io ero precipitata nel caos dei sentimenti, egli si avvicinò a me e incominciò a divorarmi di baci e di carezze aumentando in me la deliziosa confusione dei sensi tanto da non accorgermi che nel frattempo il sedile si stava abbassando. Avrei voluto chiedergli “Dove sei stato per tutto questo tempo? Ti perdono per tutto il dolore che mi hai causato.” (sverginata) Ma nessuna di queste frasi usci dalla mia bocca che lui me la manteneva incollata alla sua. Carezze, domande, risposte, si susseguirono convulsamente a lungo. Stesa sul sedile con lui sopra di me mi gustavo la pressione che esercitava su di una coscia il duro del suo ben conosciuto gingillo e nel contempo mi manteneva le mani avvinte nelle sue e pressate sui sedili posteriori. Vedendomi ricomposta dalla passione il cui brivido mi aveva toccato il cuore, mi disse che era meglio se non ci fossimo fatti scoprire da passanti occasionali e allo scopo propose di allontanarci da quel luogo gremito per uno più tranquillo. Pensierosa e concentrata su quella indicibile richiesta che nascondeva tante possibili trabocchetti, gli risposi che non avevo tempo, che sua cugina mi stava aspettando e un mio ritardo l’avrebbe insospettita e, maligna com’era chissà cos’altro avrebbe potuto pensare. *Facciamo solo un giretto, tanto per farti provare la nuova Opel rossa.* Mi disse. Come dire di no? Se realmente l’avessi voluto un pretesto per oppormi l’avrei escogitato. E invece, --Va bene-- gli dissi, --ma solo per pochi minuti-- Si mise al volante consigliandomi di starmene sdraiata per rendermi invisibile: in fin dei conti era un incontro del tutto furtivo e anche io avevo tutto l’interesse che restasse un segreto. L’auto si mosse e a me un grampo si mosse nel basso ventre. Sapevo come sarebbe finita, ma preoccupata e ansiosa com’ero non volli ammetterlo nemmeno a me stessa. Il pudore con cui avvenne l’incontro rese ancora più solenne il nostro incontro. Io però non potei fare a meno di sbirciare la patta dei suoi pantaloni e non notare l’evidente gonfiore che ne scaturiva, una forza vitale che per me fu una emozione troppo forte per non desiderarlo proprio in quel momento. Stando seminascosta potevo notare i suoi lineamenti, il suo colorito abbronzato e una barbetta qua e la gli dava u’aria virile. Il corpo muscoloso di un uomo in piena fioritura appagava la mia vista e al confronto dei mammoli con cui avevo avuto a che fare sembrava più adulto dei suoi 18anni appena compiuti, l’insieme lo rendeva più maturo, più perfetto. Mentre mi stava conducendo in un luogo che solo lui conosceva tornai mentalmente sull’incognito dubbio. Si era trovato per caso al posto giusto nel momento giusto o se celatamente c’era lo zampino di Dxxx. “Massì, quella contadinella tutto budino e formaggio ti ha sempre in testa e come ti vedrà, vedrai che si scioglierà come burro nella padella. Una fottutina le farà un sacco di bene.” Per me era impossibile conoscere le cose come stavano, potevo solo supporre. L’auto correva e io potevo scorgere solo i tetti delle case e il cielo azzurro. Ad ogni buca sulla strada il mio corpo sussultava e il mio ricettacolo tra le gambe si inumidiva. Non fu un momento facile, non potevo che pensare al suo sorriso, al suo non so che. Le mie narici percepivano il suo odore, o forse era solo brama per il suo cazzo che sapevo bene essere iperbolico. Arrivammo ad un incrocio, svoltò a sinistra poi dopo circa un 200 metri girò a destra, poi mi disse: * siamo quasi arrivati* vidi scorrere davanti agli occhi la tabella di una via che ricordo ancora - via Marzabotto - Era una via molto grande, simile ad una autostrada. Percorsi non saprei quanti metri, mi disse *ora puoi metterti seduta, qui nessuno ci potrà vedere* Così feci e mi trovai su una grande via completamente deserta. Davanti a noi la strada proseguiva per altri 200-250 metri poi era sbarrata trasversalmente da una folta vegetazione. Eravamo in piena campagna, una via urbanizzata ma non ancora edificata. Fece un’inversione a U e si fermò a destra, sul ciglio della strada. Gli chiesi che intenzioni avesse. Mi rispose: *e me lo chiedi? * Sentii che stava per gettare la presa su di me e non mi avrebbe più mollata: mi sentii in trappola. Infatti, non perse tempo. Un attimo e mi ritrovai coricata sul sedile con la sua bocca che mi sbaciucchiava il collo. Con la mano sinistra mi abbassò la cerniera dei jeans e vi infilò la mano. Le sue dita girarono sotto il cavallo delle mutandine e scivolarono sul bagnato. * ehi, ma tu sei già pronta! * mi disse. Era bastata la parola “pronta” per darmi fuoco. A quel punto ebbi la certezza come il gioco si sarebbe concluso e seppur desiderandolo non era esattamente quello che avrei voluto. Più precisamente non avrei potuto né dovuto concederglielo. A questo punto, devo mio malgrado aprire una parentesi. Chiedo venia al lettore, ma come ho più volte dichiarato, io scrivo N o n per eccitare ma per scrivere la verità su di me. Scrivo per auto terapia consigliatami dallo psichiatra, perché dire la verità guarisce. Non è che voglio raccontarvi tutta la storia per filo e per segno, ma, semplificare va bene - servirebbe per non farmi apparire noiosa -ma, il semplificare troppo indurrebbe il lettore interessato a non comprendere nulla. Sta di fatto che quel pomeriggio prima di partire per la casa della mia amica Dxxx avrei dovuto andare in bagno, ma era occupato dal fratellino il quale di sicuro tra Diabolic e Supermen ne avrebbe avuto per lungo tempo, per cui decisi di partire per poi usufruire del bagno di Dxxx,- quello della taverna-: quello in cui ebbi il fantomatico episodio col ragazzo dopato. (vedi “la festa”) L’imprevisto e il sorprendente abbordaggio aveva alterato il mio proponimento. In quel frangente mi trovavo con la vescica strapiena di pipì e se non me la fossi svuotata presto me la sarei fatta addosso. Mi trovavo in una imbarazzante, disagevole, incresciosa situazione. Che potevo fare? Essendo in campagna mi sarebbe stato facile dirgli -aspetta un attimo che faccio pipi che poi mi rendo disponibile-. Ma non lo feci: mi mancò la faccia tosta, chiederlo sarebbe stato troppo rozzo, osceno, spoetizzante. Così, pur sapendo bene come sarebbe andata a parare quella storia, ma, sperando in una veloce soluzione, pur nolente e riluttante finii con l’accettare le sue avance. Come fanno gli amanti prima dell’esplosione, quando ormai la decisione era stata presa ma non ancora messa in atto, incominciò a baciarmi con le sue labbra morbide. Provai vergogna, avevo la bocca secca e non mi ero ancora lavata i denti. Poi passò a succhiarmi il collo e io speranzosa che non mi lasciasse lividi bluastri lo lasciavo fare. Le sue dita mi accarezzarono le guance, poi scesero lungo il collo. Poi quando spostò la mano sui miei seni quello che provai era più di quanto potessi reggere. Passando la mano sul mio grembo me la infilò sotto la cintura dei jeans. Mi mancò il respiro. Mi venne da stringere le gambe, ma quando mi sfiorò sotto l’ombelico gemetti di piacere e le mollai. Poi si fece più arduo. Dapprima mi slacciò i jeans, poi me li abbassò facendomeli scorrere fino ai piedi per poi lasciarli sulla pedana. Poi passò alle mutandine che seguirono lo stesso destino. Dopo avermi scrutato con cipiglio da intenditore, esclamò. *vedo che non te la sei ancora tosata* -- e perché mai avrei dovuto farlo? Sei diventato allergico al pelo? Tanto il buco lo troverai lo stesso.-- *Questo è poco ma sicuro.* Senza altri convenevoli si slaccio i pantaloni e si abbasso il tutto insieme. Fiuu! Che vista abbacinante! Un lampo mi accecò. Per alcuni interminabili attimi mi apparve quell’attrezzo poderoso, il primo, il mio mito, quello che mi aveva depredata della mia innocenza. Non lo ricordavo così imponente. E nemmeno tanto lungo, invece la sua rugosità era esattamente com’era rimasta impressa nella mia memoria. Era così energico e attraente da confondere ogni mia titubanza. Dopo qualche breve preliminare si posizionò in ginocchio sulla pedana dell’auto tra le mie gambe che tenendo il piede sinistro sul volante e il destro sul cruscotto risultavano ben aperte. Eravamo entrambi nudi solo dalla cintola in giù, ma entrambi vibravamo della stessa emozione. Non si trattava di un pargolo qualsiasi, ma dello stravagante scettro che mi aveva svezzata, l’unico del quale mi sentivo soggiogata, il solo capace di coinvolgere il mio cuore nel gioco. Due dita mi raggiunsero la prugna, scorsero lungo il solco poi mi penetrarono. Ero sostanzialmente inumidita e non incontrarono difficoltà. Trovandomi accogliente ardì nell’uso del capoccione scappellato inumidito dalla primaria secrezione. Lo sentii scorrere nella fenditura e trovato la breccia iniziò l’immersione nella carne viva. E ora doveva forzatamente passare dalla stretta fessura con la funzione di colmarne il vuoto. La differenza stava proprio lì. Quando li vedevo i cazzi mi sembravano giganteschi, poi, quando li avevo dentro non mi sentivo mai abbastanza piena. Indomito e selvaggio diede una forte spinta. Mantenevo i muscoli contratti per tenere ben chiuso il rubinetto della pipì, così ci vollero tre prepotenti affondi per fare si che i nostri peli si intrecciassero e quando fu certo che la connessione carnale fosse avvenuta, incomincio un beccheggio longitudinale, dal basso verso l’alto e viceversa. Mi passò come un lampo per la testa che con quella energia propulsiva si potesse rompere il profilattico. Oddio! Il profilattico! Non se l’era messo o non l’avevo visto? N o! Di certo non se l’era messo. All’improvviso il panico mi travolse. Atterrita per quello che mi stava accadendo lanciai un grido. --Brutto scriteriato! Il guanto, non te lo sei messo. Ma sei matto? Ho paura. Fermati. Basta. Non voglio cacciarmi nei “guai”. -- Lanciai un altro grido e tentai di liberarmi, ma lui mi teneva ben stretta. Impastoiata dalle sue braccia ero incapace di muovermi. Mi disse con voce impastata: * Dai piccola, non seccare * Facendo leva con i piedi sull’abitacolo continuò a chiavarmi con una veemenza paragonabile a uno stallone da monta dopo una lunga dieta forzata. E sapevo che nelle prime cavalcate non ci sarebbe stata forza umana che avrebbe potuto catalizzarlo. Il terrore che mi invase fu tale che non capii più niente, e di sicuro il non capire niente fu il modo più sicuro per rendermi indifesa. Usufruendo dell’energia che poteva ampliare coi piedi appoggiati saldamente alla pedana dell’auto, l’invasore mi diede un possente affondo. La pressione interna che subii fu tale che ebbi uno spasmo istintivo e non riuscii trattenere un flusso di pipì. Quale orrore! Avevo pisciato sul suo cazzo mentre l’avevo nella fregna. Mi tornò alla mente un chiacchierio che avevo orecchiato molto tempo addietro in un rudimentale dialetto da troglodita pronunciato da un maschilista adulto mentre parlava con suoi compari della sua donna il cui significato lo riassumo grossomodo così: “quando ce l’ha dentro tutto può anche spingere, ma di sicuro non piscia.” Avevo inficiato quella credenza e lui, l’esperto Casanova mi stava fottendo con tanto impegno che non se n’era nemmeno accorto. In preda al panico, vissi un momento drammatico, avrei avuto la necessita fermezza, determinazione, risolutezza: peculiarità che non mi sono mai appartenute. Nonostante lo implorassi. --No! Rxxxx No! Fermati. Non voglio più!-- Gemendo mi rispose * Dai, smettila, ti conosco bene, lo so che sei una ragazzina tutto pepe e lo vuoi anche tu.* E continuò ad approfittare della mia remissività. Inibita, non provavo più nessun piacere. Era solo sfregamento meccanico di mucose. I miei organi divennero stranamente freddi e insensibili. Era robotica, non passione: solo riflessi condizionati. Nonostante la mia implorante deplorazione non appariva propenso a concessioni, anzi mi allargava il solco con affondi cruenti. In quella circostanza brutale mi agitai fino a tremare. Si arrestò di colpo come in un fermo immagine e mi chiese. *Cosa ti succede piccola. Perché sei così spaventata?* Gridando gli risposi: --Sono una donna, posso restare in cinta, possibile che tu sia tanto incosciente da non capirlo? -- *Cosa credi che io voglia inguaiarmi con una ragazzotta con ancora i denti da latte? Mettiti tranquilla, intanto io farò quello che devo fare* Io il “ragazzotta” lo intesi come una “zootica di campagna”. -- Sei stato tu a cercarmi e adesso mi screditi?-- *E’ stato il caso, mi sei apparsa all’improvviso e ho pensato che a una strigliata non ti saresti rifiutata. Su, dai, finché ci sei fai la brava bambina, hai la figa bella stretta e provo molta soddisfazione nello scoparti* E siccome il trombador non era il tipo da accarezzare il pelo ad una passera per poi lasciare il lavoro a meta, riprese a sforacchiarmi. Per lui rappresentavo una distrazione occasionale, una pollastrella da spennare, niente di più.
l’auto3) Così alla trappola di terrore aggiunsi una profonda umiliazione. Egli non si accorse dello stato in cui mi trovavo e imperterrito non tentò minimamente di alleviare la mia sofferenza. Invece di mormorarmi parole rassicuranti si gongolò godendo ulteriormente del mio corpo. In quella brutale circostanza divenni furiosa. Ma non feci altro che stizzirmi, tremare e agitarmi. *Cosa ti succede piccola,? Perché sei così spaventata? Rilassati. Stai tranquilla, neanche io voglio impegolarmi con una pulzella che ha ancora i denti da latte?* Quel tira e molla mi estenuò, ma non mi persuase. Feci leva con i piedi e spingendo con tutta la forza che mi fu possibile riuscii a distanziarmi dell’inquilino che aveva trovato nella mia stamberga vitto e alloggio a basso costo. Non passò il tempo di un respiro che con la velocità di un bliz me lo ritrovai sopra di me. Mi assaltò con tanta rapidità che non ebbi il tempo di chiudere le gambe, così con la stessa rapidità e con meticolosa precisione, con un sibilo mi ci infilò nel bel mezzo lo spadone agguerrito più che mai. Fu come se mi avesse aperta a metà. Lanciai un urlo da perforargli i timpani. *Adesso piccola stai dando veramente i numeri* Esclamò. --No! Ti ho detto che non voglio. Voglio che ti fermi, adesso!-- E tentai ancora una volta di spingerlo via. Invece, approfittando della sua forza e del suo peso mi coprì, mi ficcò la lingua in bocca mentre laggiù spinse più forte, più a fondo. Tentai di nuovo di liberarmi, ma mi prese le mani e me le portò sopra la testa mentre spinse col cazzo così forte da provocarmi un’altra fitta. Schiacciata dal suo peso, ho perso il controllo dei muscoli: seguì uno spasmo e un altro schizzo di pipì mi fuoriuscì. Afflitta, restai pietrificata sotto di lui. Come un cane gli stavo segnando il territorio con la mia urina. Cosa avrebbe fatto appena se ne fosse accorto? Stavo rovinando tutto, stavo trasformando l’ammirazione che avevo per lui nella desolazione più cupa. Non avrei mai dovuto salire su quell’auto rossa, ma ormai c’ero: che ci potevo fare? Feci una supplica alla mia dea protettrice che mi desse una giusta dritta per evitare il periglioso scoglio dell’essere ingravidata. Tornai a puntellarmi coi piedi e con la forza della disperazione riuscii a scivolare sotto di lui liberandomi nuovamente dell’ariete minaccioso. Questa volta ebbi l’accortezza di girarmi e per proteggermi chiusi le gambe mettendomi su di un fianco. Restato col cazzo a mezz’aria gli proposi di fargli un bocchino promettendogli di trangugiare tutto il suo ambrosia. Profferta alla quale rimase sordo. Incrudito dal mio comportamento mi prese e mi girò di forza a bocconi. *Hai due belle chiappe e un bel culo sodo, voglio prenderti così! Smarrita, strascicai come una lucertola e raggiunsi il sedile posteriore. Fuga inutile in quanto lui mi seguì. Usufruii anche degli ultimi centimetri del sedile ma quando raggiunsi con la testa la portiera dovetti arrestarmi. Stesa con la pancia sul sedile posteriore mi venne di sopra, mi infilò la testa di corallo tra i glutei e bussò ripetutamente alla porta sbagliata. Temetti che oltre ad avermi aperto la prima strada intendesse aprirmi il sentiero non ancora battuto: verginità che io non avevo nessuna intenzione di perdere. A quel tempo consideravo le misure delle due parti troppo sproporzionate. Invece, fece scorrere la testa nel solco verso il basso e appena raggiunse l’anfratto, come assorbito da un vortice si inabissò percorrendo la stessa strada. A che mi era servito tenere le gambe ben chiuse come mi avevano insegnato? Il guerriero era riuscito a infilarmi tutti i pressappoco venti centimetri. Ero stata tirata su per essere ignorante. Consapevole di aver giocato l’ultima carta e di avere perso, incapace di ogni furbizia, temetti di doverne pagarne la posta. Per di più intimorita per quale altra prodezza si sarebbe inventato. Eppure stavo solo vivendo il lato oscuro delle fantasie notturne che spesso fantasticavo: la carne nuda, la carne viva era quello che cercavo, che agognavo, ma non avrei mai immaginato facesse tanta paura. Rassegnata non ebbi più iniziative da mettere in campo. Quando sarebbe finito quell’incubo? La postura involontaria in cui eravamo dovette risultagli incomoda perché d’un tratto mi prese per i fianchi e mi sollevo come fossi una bambola di pezza. Mi ritrovai in ginocchio sul sedile del tutto indifesa e nella posizione più adatta per riceverlo. Da dietro tornai a sentirlo davanti alla bocca della fornace, ma in quella quarta ripresa assunse un procedimento diverso. Me lo introdusse a rilento, a passo di lumaca, se avessi potuto vederlo lo avrei scorto sparire dentro il mio morbido laboratorio millimetro dopo millimetro, come se volesse prolungare il piacere e gustarsi tutti i privilegi. Quando il suo inguine premette sui miei glutei compresi che l’avevo sorbito proprio tutto. Incominciò a muoversi divenendo più vivace. Si arrestò per qualche secondo per poi riprendere con spinte rabbiose e incalzanti. Di nuovo una breve pausa poi spinse con una determinazione erculea che mi inchiodò contro la portiera. La pressione che esercitò su di me fu tale che mi appiccicò la guancia sinistra al vetro dell’auto. Le labbra deformandosi si adagiarono e i denti stridettero sul cristallo. Per proteggermi mi puntellai con le mani. Stavo affrontando il peggior incubo che non avessi mai sperimentato. Da ipocondriaca lo somatizzai venirmi dentro, provai la sensazione del suo liquido caldo scorrere nel mio corpo, gli spermatozoi, grossi come girini, risalire i meandri uterini e raggiungere i miei ovuli. --No! No! Ti prego! Non farlo!-- Dissi, o mi sembrò di aver biascicato. Fu come se una parte del mio essere fosse balzata in avanti di settimane, di mesi. Mi vedevo già col pancione convinta che stesse sforacchiando una futura puerpera. Persi ogni controllo di me, i muscoli si rilassarono e una notevole quantità di pipì mi usci dalla vescica che strapiena fino all’orlo traboccava. Sentivo il liquido caldo scendermi lungo le cosce per finire sul sedile. Straziata, mi vergognavo tanto avendo la sensazione di essere goffa e sgraziata. Tra paura e vergogna, più che di un manganello avrei avuto bisogno di essere rincuorata . Ma: in quel momento accadde l’incredibile. C i s o n o s t o r i e c h e c h i e d o n o di essere raccontate, possono restare all’ombra per mesi o addirittura per anni, ma anche volendo dimenticarle, lasciarsele alle spalle, ad un certo punto richiedono di uscire allo scoperto, perché la verità per quanto dolorosa possa essere ha bisogno di essere divulgata. La mia memoria in questi giorni ha ripescato quei ricordi sepolti da molte stagioni anche se più volte rivissuti e, a rischio di apparire pedante li descriverò nei minimi particolari: perché dire la verità mi libera. Rassegnata, in attesa della sua esplosione finale, vidi un’auto di color grigio metallizzato arrivare dal senso contrario a quella in cui giacevo. La vidi avanzare molto lentamente, come sovente sentivo dire: a passo d’uomo. Per quel breve spazio di tempo che i miei, o meglio, che il mio occhio sinistro incrociò quelli dello sconosciuto, scorsero un uomo adulto, che mi guardava con uno sguardo interrogativo, incredulo, sconcertato. Di uno che vedeva, guardava incuriosito, ma non capiva. Io, avendo abbastanza di cui preoccuparmi non ebbi nessuna reazione. L’auto proseguì la sua corsa sparendo dalla mia visuale. In quel momento non meditai su cosa ci facesse in via Marzabotto, una via disabitata e senza altra uscita. Trascorsero, suppergiù, alcuni minuti ed eccola ricomparire nel senso contrario. Prima apparve il cofano e poi il guidatore. Quando il nostro sguardo tornò ad incrociarsi l’auto si fermò. Vidi quel volto sconosciuto che mi studiava con uno sguardo torvo e avendo capito quello che stava accadendo teneva la bocca contorta in un ghigno maligno. Ritenendo che potesse scorgere solo una frazione del mio volto grottescamente deforme, restai calma e una volta tanto controllai le mie emozioni. Non tentai di nascondermi né di mascherarmi. Come se non mi riguardasse. Il gingillo che mi incuneava da dietro, molto, troppo intento ad esplorarmi i fondali, a quell’inconsueto, anomalo triangolo, anche lui sembrò non farci caso.
l’auto4- Con il guardone sostenni lo sguardo più a lungo che non mi fosse mai capitato di fare e per effetto di quell’evento straordinario mi persi in pensieri lussuriosi. La mia mente si mise a brulicare di scene e di elucubrazioni inconfessabili. A quel curioso pervertito, chiunque egli fosse, avrei voluto prendergli il cazzo in bocca o perlomeno fargli un pompino.
I miei abissi divennero incandescenti, provai una eccitazione così grande da sembrare sofferenza, sentii la passione ribollire dentro di me senza avere l’intraprendenza di cambiare qualcosa. Non avevo teorie per spiegarmi quello che mi stava accadendo, se non il patologico narcisismo dell’essere guardata, o per essere considerata una puttanella nello svolgimento della sue mansioni. La brama si accese e un’ondata di piacere mi pervase. Incominciai a gustare la consistenza del duro pistone che mi stava strapazzando e si innescò lo stimolo dell’agitazione. Dopo, una manciata minuti, quando stavo per avere una straordinaria deflagrazione, udii il mio stupratore gemere, rantolare: compresi quello che stava succedendo. --No! Continua, Ti prego, non fermarti! -- Poi, dopo una frenata prima e una improvvisa accelerata, d’un tratto, senza nessun preavviso, usci dal guado lasciandomi svuotata. Continuò a rantolare e macchie calde si propagarono sopra mio fondo schiena, il mio corpo smise di essere dotato di membra. Capendo quello che era accaduto, mi dimenai, strusciai le cosce, ma non fu sufficiente a soddisfare il mio appetito. Mi sentii sbeffeggiata. Mi prese per i capelli e mi trascinò in giù. Con il volto obbligato a strusciare il sedile l’incanto fini. Udii il motore dello spettatore occasionale aumentare di giri e allontanarsi per perdersi lontano. Passarono un paio di minuti di un silenzio asfissiante, il più imbarazzante che io rammenti. Poi i timori ripresero a manifestarsi. Mi sforzai di comportarmi con decoro restando allibita per aver trovato l’ardire di chiedergli se conosceva quel tipo e se c’era il rischio che ci avesse riconosciuti. Ebbi una risposta negativa a entrambi i miei interrogativi. Probabilmente quell’auto transitava in via Marzabotto per un motivo a noi rimasto per sempre un enigma: era stato solo un evento irritante. Ma in quel momento non potevamo saperlo, così lui si sentì perseguitato dalla sorte o da chissà cos’altro e si irritò. Si mosse come un neonato a carponi sui sedili e con il cazzo ancora gocciolante raggiunse i sedili anteriori, divise gli indumenti gettandomi i miei e indossando frettolosamente i suoi. Rialzò il sedile del passeggerò e senza indugi, incazzato come una scimmia, prese il viaggio di ritorno. Nel frattempo mi disse di rivestirmi e di restare per precauzione nascosta tra i sedili posteriori. Lo stimolo della pipì che si era alterato durante la fase del desiderio si era fatto più pressante, avevo impellenza di svuotarmi, ma sapevo che avrei dovuto resistere ancora per diversi minuti. Mentre feci il movimento per infilarmi le mutande ebbi una contrazione involontaria, contraria al mio forzato restringimento: ne seguì una perdita di liquido. Ero agli estremi, la natura stava avendo il sopravvento. Avevo avuto un’esperienza analoga in anni passati e come in quella prima volta la fuoriuscita stava avvenendo a getti, anche contro la mia ferrea volontà. Alzai la pedana e incastrata tra i sedili con le mutande ancora infilate all’altezza del ginocchio trovai sollievo lasciando uscire non saprei dire quanto liquido, poi riavendomi con uno sforzo sovrumano -provando un vero dolore fisico- richiusi il rubinetto. Rimisi al suo posto la pedana e finii di rivestirmi. Mentre l’auto correva, meditai su quello che avevo compiuto a sua insaputa. Se non avesse lavato i sedili la sostanza organica sarebbe andata in putrefazione liberando mefitici miasmi. La sua partner salendo su quell’auto avrebbe rilevato quella esalazione malsana e lui si sarebbe trovato in difficoltà a darne spiegazioni. La sua riprovazione sarebbe stata cruenta, mi avrebbe considerata una orribile raccapricciante pupattola da evitare e ricordare con disprezzo: mi avrebbe paragonata a una vasca biologica con una perdita. Dopo un bel po’di angoscioso arrovellamento decisi di avvertirlo. Vedendolo serioso gli dissi che quello che era accaduto non era stata solo colpa mia. Forse ero stata troppo apprensiva, ma il pericolo di restare gravita mi aveva terrorizzata. Poi mi decisi e toccai l’argomento delle mie angustie. Nascosta tra i sedili posteriori, gli dissi che forse gli conveniva pulire bene i sedili perché potrebbero essersi intrisi delle normali secrezioni liberate durante la fottuta che mi aveva inflitto. Lo scorsi guardarmi, forse senza riuscire a vedermi attraverso lo specchietto retrovisore e in un gesto indotto tastò con una mano il sedile che aveva di fianco. Avvertendolo umido ebbe una esclamazione. *Porca vacca! Meno male che non volevi, lo sapevo che sei una grandissima troia.* Ormai il ghiaccio era rotto e continuai col dirgli -- se è per questo anche tu non hai scherzato, quando sei venuto qua dietro ne hai schizzato dappertutto, credo che ti convenga lavare tutto l’interno o la tua innamorata fiuterà l’odore del sesso tuo e di una sua rivale, e di sicuro ti troverai nei guai.-- Se avesse provveduto repentinamente avrebbe evitato la decomposizione della sostanza fisiologica che in più punti gli avevo mollato senza scoprire il mio degradante, ripugnante compimento. Percepivo che quei minuti sarebbero stati gli ultimi che avremmo passato insieme. Sapevo che non sarei mai più salita su quell’auto. Provai un dolore a cui non riuscii a dare un’espressione. Ritenni che forse fosse perché non riuscivo a vedere un motivo perché io e lui ci fossimo rivisti ancora. L’auto proseguiva nel viaggio di ritorno che forse per il timore di essere seguito scelse un percorso diverso. Una strada di campagna poco frequentata, dove sarebbe stato facile individuare eventuali inseguitori. Vivemmo alcuni minuti nei quali sperimentai quanto fosse drammatico il silenzio della collera. Arrivammo, nel senso contrario, all’incrocio con la strada dove di lì a poco sarei scesa. Mi feci coraggio e gli ripetei che mi dispiaceva per quanto era accaduto, ma non era stata colpa mia. Gli dissi che lui mi aveva rimorchiata, lui aveva scelto il luogo, che mi aveva presa con la stessa delicatezza che mia madre conficcava nel terreno i paletti per sostenere i pomodori nell’orto, che avevo l’esperienza di una ragazza di solo tredici anni e avrebbe dovuto essergli comprensibile il mio timore dell’essere chiavata e ingravidata. Dalla mia omelia emerse che non aveva con se i profilattici, che aveva scopato numerose volte senza e non era mai successo niente. Che ero troppo timorosa, dominata da inconsistenti paturnie. Ne desunsi che il nostro incontro avvenne realmente per caso, che non c’era stato nessun intrallazzo con sua cugina Dxxx. Quella constatazione non mi rincuorò. La voce mi restò intrappolata in gola. Gli occhi mi si colmarono di lacrime. In tutta sincerità, non sarei riuscita a resistere in quell’auto un minuto di più. Si fermò senza spegnere il motore adiacente ed altre auto parcheggiate poco distanti dal punto da cui eravamo partiti. Scesi e lo lasciai con un rachitico: ciao. L’auto rossa ripartì portandosi con se qualcosa di me, e io restai per breve tempo appostata per indagare se fosse seguito: ma non vidi nessuna auto grigia sospetta. Mi incamminai per raggiungere la bici e passando davanti al cancello del cimitero vide una insegna:- toilette- senza indugi presi quella direzione. La trovai vuota e finalmente mi liberai la vescica. Una lavatina al passerotto con acqua fresca mi fu di conforto. Una lavata interna alla tana l’avrei fatta appena possibile: perché mia nonna mi ha insegnato che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Mi diedi un’occhiata allo specchio e vidi solo una ragazza stupida, tanto ingenua da aver fantasticato su un bell’uomo con già una morosa molto più interessante di lei. Vidi una mocciosa immatura cresciuta in una famiglia noiosa che non avrebbe avuto nulla da offrirgli se non la strada per giungere al proprio corpo. Fu quello che dovetti accettare appieno di me stessa oltre al mio radicato scoramento. Raggiunsi la bici e terribilmente in ritardo ripresi il percorso che mi avrebbe guidata dalla mia amica Doxx, alla quale avrei raccontato tutta la mia odissea poiché la consideravo l’unica in grado di comprendermi e darmi un po’ di sollievo. Mentre pedalavo pensai al mio secondo incontro avuto con il mio figo, tanto agognato e fantasticato che - a differenza del primo andato a mille - era finito così drammaticamente. Mi chiesi se fosse stato per la mia labile personalità o un disegno predestinato, poiché di sicuro, quando il Sig. Fac Totum si mette di traverso riesce sempre a rovinare la vita delle persone. Ma come mio nonno spesso sentivo dire: “non tutti i mali vengono per nuocere”. Successivamente usufruii altre volte di quella toilette, e un giorno, fortunosamente, mentre ne uscivo rincontrai un uomo che in seguito cambiò il corso della mia vita. Non so se un miracolo è qualcosa che compiono i santi oppure un semplice fenomeno che va contro le leggi della fisica, o se è semplicemente il caso. Sta di fatto che cinque anni dopo, quando a diciotto anni entrai in possesso del foglio rosa, quell’uomo di quell’incontro fatidico mi fece, usando la propria auto da istruttore di guida e, g u a r d a c a s o, scelse proprio quel quartiere nel quale è compresa la via Marzabotto. Luogo ritenuto da lui ideale perché rimasto come a quel tempo non trafficato. In questi giorni presa dalla curiosità mi sono recata in quella via trovandola esattamente come l’avevo lasciata molti anni or sono. Ho ripercorso lo stesso tragitto, arrivata alla sua fine feci un’inversione a U e mi fermai pressappoco nello stesso punto in cui avevamo sostato sull’auto rossa in quel traumatico pomeriggio. Assorta, quasi in contemplazione, suggestionata da una musichetta irradiata da radio Bruno, mi immersi in pensieri che mi riportarono a quel momento. Il mio cuore perse molti battiti. Mi sentii venire meno. Mi parve di morire. E, a volte bisogna morire per poter continuare a vivere. Fine. Amichetta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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